Rilevanza penale dell'uso di gruppo di sostanza stupefacente

Tribunale di Rovereto, GUP Dr. Riccardo Dies, 15 marzo 2012

STUPEFACENTI - Deve ritenersi definitivamente superato il tradizionale orientamento giurisprudenziale che vorrebbe confinata in ambito amministrativo l'uso c.d. di gruppo (art. 73 TU stup.).

 

TRIBUNALE DI ROVERETO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice dell'udienza preliminare dott. Riccardo Dies all'udienza

del 15 marzo 2012 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del

dispositivo la seguente

SENTENZA

- art. 442 c.p.p. -

1) M.A.

2) R.F.R. nato il omissis in Romania res. in Trento via C.d.A.

elett.te dom.to presso il difensore d'ufficio avv. Alberto Pinalli

del Foro di Rovereto

LIBERO - PRESENTE

Assistito e difeso da

Avv. A.P. del Foro di Rovereto d'ufficio

Imputato

del reato p. e p. dagli artt. 110 CP e 73 comma 1bis DPR 309/1990

perché, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17, in concorso tra

loro, illecitamente detenevano sostanza stupefacente del tipo

hashish per un peso di gr. 32,279 ed un principio attivo del 6,5%

pari a mg. 2.107.

In Arco il 08 maggio 2011.

Con l'intervento del PM dott. Fabrizio De Angelis e dell'Avv. A.A., sostituto processuale come da delega in atti del difensore

d'ufficio dell'imputato, Avv. A.P. del Foro di Rovereto.

Le parti hanno concluso come segue:

il Pubblico Ministero chiede la condanna alla pena di anni 1 di

reclusione ed euro 3.000,00 di multa previa concessione della

circostanza attenuante di cui al comma 5 dell'art. 73 DPR 309/1990 e

già calcolata la riduzione di pena per il rito;

il difensore chiede in via principale l'assoluzione perché il fatto

non sussiste e in via subordinata la condanna al minimo della pena

coi benefici di legge.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di richiesta di rinvio a giudizio, con decreto dd. 01.12.2011 veniva fissata l'udienza preliminare del 02.02.2012, il cui avviso veniva regolarmente notificato agli imputati e al difensore. All'udienza indicata, l'imputato R.F.R. avanzava richiesta di rito abbreviato, ma veniva concesso un rinvio onde consentire al difensore di munirsi di procura speciale per l'altro imputato al fine di aderire ad un rito alternativo. All'udienza del 15.03.2012, ammesso il rito abbreviato richiesto dall'imputato e previo stralcio della posizione M.A., l'imputato rendeva spontanee dichiarazioni e le parti precisavano le proprie conclusioni come da verbale.

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MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritiene questo Giudice che accertata è la penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato ascrittogli, emergendo in modo inequivoco la prova della sussistenza del reato medesimo.

La prova si fonda sugli atti di indagine contenuti nel fascicolo del PM (cfr., in particolare, notizia di reato, relativa annotazione di PG, verbali di perquisizione e sequestro e verbale di sit rese da F.M.) nonché sulle spontanee dichiarazioni rese dall'imputato all'udienza del 15.03.2012, che consentono di ritenere accertato, oltre ogni ragionevole dubbio, il fatto nei termini che seguono.

I Carabinieri di Riva del Garda e di Dro in data 08.05.2011 alle ore 02.20 circa, intervenivano presso la discoteca "Deja Vu" in Arco, via A.M., ove era stata segnalata una lite tra un gruppo di avventori ed il personale di sicurezza del locale. In occasione degli accertamenti per il fatto in questione F.M. e G.D., addetti della sicurezza del locale, riferivano che circa un'ora prima avevano notato un ragazzo extracomunitario, di cui fornivano una descrizione, spacciare nel locale. Il soggetto in questione fu invitato a lasciare il locale ma si rifiutò avendo pagato il biglietto. A questo punto il F.M. gli chiese esplicitamente se aveva del "fumo" e alla risposta positiva gli disse che se voleva restare nel locale doveva disfarsene. Fu così accompagnato fuori dal locale e nell'occasione il F.M. notava che occultava un involucro nei pressi, quindi rientrò in discoteca.

Su invito dei Carabinieri il D.indicò l'extracomunitario in questione, poi identificato per il coimputato M.A..

A questo punto i Carabinieri si appostarono nei pressi del luogo, esterno alla discoteca, dove gli addetti alla sicurezza avevano riferito che il M.A. aveva occultato un involucro e, dopo circa tre quarti d'ora videro sopraggiungere il M.A. in compagnia di un altro giovane. Il primo dava indicazioni al secondo e questi prelevava dal quadro contatori nei pressi del panificio "Corraini" un involucro che riponeva immediatamente in tasca, per poi essere immediatamente bloccato dai Carabinieri ed identificato per l'odierno imputato R.F.R..

A seguito di perquisizione personale nelle tasche dei pantaloni del R.F.R.fu rinvenuto un pacchetto di sigarette marca Marboro contenente all'interno un pezzo unico di hashish dal peso di circa 23 grammi ed ulteriori 6 pezzi, complessivamente dal peso di 10 grammi. Nulla è stato rinvenuto addosso al M.A..

Più precisamene dalla consulenza tossicologica fatta eseguire dal PM sulla sostanza stupefacente in sequestro emerge che il peso complessivo è di gr. 32,279, con un principio attivo del 6,5%, pari a mg. 2.107 e 84 dosi medie singole efficaci.

Questa versione dei fatti non è minimamente contestata dalla difesa e dallo stesso imputato, il quale a mezzo di spontanee dichiarazioni rese all'udienza del 15.03.2012 ha in sintesi affermato che: quella sera è uscito dalla discoteca insieme ad un suo amico marocchino; si trovava in stato di ubriachezza; l'amico marocchino gli disse che un altro marocchino aveva del fumo "per farci una canna"; allora lui e l'altro si sono recati all'esterno della discoteca dove ha rinvenuto un pezzo di fumo; quando stava per passarlo al proprietario sono intervenuti i Carabinieri che lo hanno bloccato.

Osserva la difesa che la versione dei fatti resa dall'imputato non contrasta minimamente con le emergenze investigative e ne argomenta la destinazione ad un uso esclusivamente personale, che imporrebbe l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non sussiste.

Ritiene questo Giudice che effettivamente la versione resa dall'imputato non solo non contrasta con le emergenze investigative ma è da esse corroborata, dal momento che: gli addetti alla sicurezza hanno identificato lo spacciatore operante nel locale nel M.A. e non nel R.F.R.; hanno visto solo lui occultare il pezzo di stupefacente all'esterno; i Carabinieri ivi appostatisi hanno riferito che il R.F.R. ha preso il pezzo di droga seguendo le indicazioni fornitegli dal M.A..

È pertanto da ritenersi provato che lo spacciatore fosse il M.A. e che il R.F.R. abbia ricevuto la droga per un uso anche personale, che però, alla luce delle sue stesse dichiarazioni, non può ritenersi esclusivo. Infatti, come si è visto, il R.F.R. ha dichiarato di essere venuto a conoscenza della possibilità di farsi una canna da un altro marocchino, al quale pure era destinata il medesimo stupefacente. Si deve pertanto escludere che l'uso personale invocato dalla difesa fosse esclusivo e ritenere che il R.F.R. abbia ricevuto lo stupefacente anche per portarlo all'amico marocchino col quale intendeva, appunto, farsi una canna. Questa ricostruzione dei fatti riceve, del resto, conferma dalla quantità dello stupefacente sotto sequestro , pari a ben 83 dosi medie singole, che rende inverosimile pensare potesse essere consumato tutto dal R.F.R., peraltro già in stato di piena ubriachezza, come da lui stesso dichiarato.

Tali essendo gli estremi del fatto accertato, può ritenersi comprovata l'integrazione del reato contestato relativo all'illecita detenzione della sostanza stupefacente sotto sequestro , perché destinata ad un uso non esclusivamente personale. p. e p. dall'art. 73, comma 1-bis d.P.R. nr. 309 del 1990.

Per verificare la correttezza di questa conclusione può tornare utile una breve ricognizione della norma incriminatrice, anche in una prospettiva storica.

È noto che la struttura originaria della norma tutelasse il bene salute non solo come bene pubblico ma anche come bene puramente individuale, perché la condotta base della detenzione era punita anche se finalizzata ad un uso esclusivamente personale, purché fosse superata la soglia quantitativa della c.d. dose media giornaliera. Infatti, l'art. 73 cit. puniva la detenzione di stupefacenti "fuori dalle ipotesi previste dagli artt. 75 (e 76)". A sua volta l'art. 75 d.P.R. cit. puniva a livello solo amministrativo chi detenesse stupefacente per farne uso personale"in dose non superiore a quella media giornaliera". In buona sostanza il piccolo o piccolissimo consumo di stupefacenti era punito solo in via amministrativa, ma il consumo medio o grande era punito esattamente come il vero e proprio spaccio, perché la detenzione per farne uso personale in quantità superiori alla soglia prevista rientrava a pieno titolo nell'ambito delle condotte incriminate dall'art. 73 cit.

Come è altrettanto noto il riferimento alla dose media giornaliera, contenuto nell'art. 75 cit., è stato eliminato dal referendum abrogativo del 1993 (cfr. art. 1 d.P.R. nr. 171 del 1993), con la conseguenza che tutte le condotte di detenzione, finalizzate ad un uso personale, risultarono depenalizzate e ricondotte all'illecito amministrativo. È evidente che si è trattato di un intervento normativo ispirato a linee di politica criminale in una certa misura opposte o comunque diverse rispetto a quelle originarie, tendenti ad espellere il mero consumatore dal circuito criminale. Si è trattato, tuttavia, di un intervento per sua natura parziale, per i noti limiti connaturati allo strumento referendario, che non è stato in grado di modificare l'impianto complessivo del T.U. stupefacenti.

Peraltro non è mancato un forte impegno della giurisprudenza a valorizzare e dare piena attuazione alle prospettive di politica criminale sottese al referendum abrogativo ed è in questo contesto che deve essere apprezzata la ben nota interpretazione che riteneva penalmente irrilevante il c.d. uso di gruppo, ossia "l'acquisto e la detenzione di sostanze stupefacenti destinate all'uso personale che avvengano sin dall'inizio per conto e nell'interesse anche di soggetti diversi dall'agente, quando è certa fin dall'inizio l'identità dei medesimi nonché manifesta la loro volontà di procurarsi le sostanze destinate al proprio consumo" (così testualmente Cass. Sez. un., 28.05.1997, nr. 4, rv. 208216), finendo con l'attrarre nel concetto unitario di detenzione ad uso personale anche condotte che, in realtà, determinano inevitabilmente il passaggio dello stupefacente da un soggetto all'altro.

Sennonché con l'ultima novella (cfr. d.l. nr. 272 del 2005, convertito con legge nr. 49 del 2006) il legislatore ha nuovamente mostrato una sicura propensione a punire anche condotte di puro consumo, attraverso una completa riscrittura della norma incriminatrice ed un'inversione del rapporto logico rispetto all'illecito amministrativo della detenzione per uso personale. Infatti, come si è visto, prima della riforma era l'illecito amministrativo ad essere definito in positivo dall'art. 75 d.P.R. nr. 309 del 1990, mentre il reato di cui all'art. 73 stesso decreto era definito per relationem, con l'espressione "fuori dalle ipotesi previste" dall'art. 75. Ora, invece, è il reato ad essere definito in via positiva ed è l'illecito amministrativo che utilizza la formula "fuori dai casi previsti dall'art. 73, comma 1-bis".

Quanto alla descrizione in positivo delle condotte punite penalmente, il legislatore, sulla base della presa d'atto che la condotta di detenzione è, di per sé, neutra, essendo indifferentemente propedeutica sia all'uso personale sia alla destinazione a terzi sia, anche, ad un uso promiscuo, ha introdotto degli indici di valutazione, ossia la quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute (...), le modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero le altre circostanze dell'azione, in base ai quali è possibile stabilire quando la detenzione sia o non sia destinata ad un uso non esclusivamente personale. È ben noto che attraverso questa discutibile tecnica di formulazione della fattispecie non mancava chi auspicasse la punizione anche delle condotte di puro consumo, in qualche modo recuperando il sistema di soglie quantitative che caratterizzava il precedente sistema. Questo risultato era conseguito interpretando l'apparenza dell'uso non esclusivamente personale, secondo gli indici legali previsti, come elemento sostanziale del fatto punito e ritenendo quegli indici, in particolare quello quantitativo, come obbligatori.

È altresì noto come questo esito sia stato scongiurato dalla prevalente interpretazione secondo la quale, da un lato, la destinazione ad un uso non esclusivamente personale configura ancora oggi un vero e proprio elemento costitutivo del reato, che deve essere accertato senza possibilità alcuna di attribuire una rilevanza privilegiata agli indici di valutazione legalmente prefigurati che, secondo questa interpretazione, sono espunti dalla descrizione del fatto sostanziale punito per essere più correttamente ricondotti al distinto piano della valutazione della prova. Questo esito passa dalla doverosa presa d'atto che la presunzione di innocenza dell'imputato, di cui all'art. 27, comma 2 Cost. (e art. 6, comma 2 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali), impone un modello di accertamento del fatto pieno, fondato sulla regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio (cfr. art. 533, comma 1 c.p.p.), che legittima la condanna dell'imputato solo se tutti gli elementi costitutivi del reato risultano provati in positivo. Ciò non esclude la rilevanza e piena utilizzabilità della prova indiziaria, governata dall'art. 192, comma 2 c.p.p., ma comporta il ripudio sia di un sistema di prove legali a carico sia di mezzi presuntivi di accertamento, sia pure iuris tantum, che consente la prova contraria a carico della difesa, che comunque implica un'inammissibile inversione dell'onere probatorio .

Alla luce di queste premesse gli indici di valutazione indicati dal legislatore non possono valere a fondare una presunzione di destinazione ad un uso non esclusivamente personale, neppure iuris tantum, ma più semplicemente, costituiscono tipizzazione dei criteri indiziari più frequentemente utilizzati dalla giurisprudenza per accertare la destinazione della detenzione di sostanze stupefacenti. Detta tipizzazione impone l'obbligo per il Giudice, soprattutto sotto il profilo della motivazione, di considerarli e di valutarli, ma, in ogni caso, la condanna non può che conseguire al pieno accertamento, sulla loro base, ma anche sulla base di possibili ulteriori elementi indiziari non tipizzati e di tutte le prove raccolte nel processo, senza alcuna possibilità di ravvisare pretese gerarchie tra elementi di prova, che, nel caso concreto, la detenzione fosse destinata, almeno parzialmente, a terzi. Nel caso, invece, il Giudice ritenga, all'esito dell'esame complessivo del materiale cognitivo sottoposto alla sua valutazione, che non sia possibile formulare un giudizio in termini di certezza al riguardo, l'esito che si impone è l'assoluzione, in termini non molto dissimili, sotto questo aspetto, a quanto accadeva sotto la vecchia formulazione dell'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.

Resta tuttavia il fatto che è lo stesso legislatore a configurare la possibile rilevanza penale delle condotte di detenzione finalizzate ad un uso personale purché non esclusivo. Infatti, l'uso dell'avverbio "esclusivamente" è fortemente indicativo della volontà del legislatore di circoscrivere l'area del penalmente irrilevante alla sola detenzione finalizzata ad un uso che si esaurisca nell'ambito della sfera personale del soggetto agente, in linea con l'indiscutibile volontà storica del legislatore di punire più severamente ogni attività connessa alla circolazione, vendita e consumo di sostanze stupefacenti. Dall'altro la completa riscrittura della norma incriminatrice e della norma che prevede l'illecito amministrativo di detenzione ad uso personale, preclude la possibilità di utilizzare la ratio sottostante all'esito referendario per delimitare e circoscrivere l'area del penalmente rilevante, perché relativo a norme affatto diverse ed ormai totalmente sostituite.

Con ciò si deve ritenere definitivamente superato il tradizionale orientamento giurisprudenziale che vorrebbe confinata in ambito amministrativo l'uso c.d. di gruppo ed ammettere che la nuova normativa ha previsto, per queste ipotesi, una vera e propria nuova incriminazione. Questa interpretazione è stata affermata anche dalla Corte di Cassazione, secondo la quale il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, sia nell'ipotesi del mandato all'acquisto che nell'ipotesi dell'acquisto in comune, è sanzionato penalmente a seguito della novella introdotta dalla legge nr. 49 del 2006, risultando sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 73, comma 1-bis lett. a) d.P.R. nr. 309 del 1990, in quanto in tal caso, non è ipotizzabile un uso esclusivamente personale". Invero la Cassazione ha avuto modo di affermare, in motivazione, che "l'acquisto per il gruppo, presuppone, per assioma, l'acquisto di un quantitativo di stupefacente che, per quantità e/o per modalità di presentazione, appare, necessariamente destinato ad un uso non esclusivamente personale" (cfr. Cass., 06.05.2009, nr. 23574, rv. 244859; analogamente più di recente Cass., 13.01.2011, nr. 7971, rv. 249326; Cass., 20.04.2011, nr. 35706, rv. 251228; contra, tuttavia, ma con motivazioni non convincenti, cfr. Cass., 27.04.2011, nr. 21375, rv. 250064 e Cass., 26.01.2011, nr. 8366, rv. 249000).

Alla luce dei rilievi che precedono del tutto corretta appare la ricostruzione del bene giuridico protetto nel diritto alla salute nella sua duplice dimensione di bene collettivo e di bene individuale, come recentemente ribadito da una importante sentenza delle Sezioni Unite in tema di coltivazione (cfr. Cass. Sez. un. pen. 24.04.2008 nr. 2805, rv 239920 e in Cass. pen., 2008, 12, 4503), secondo la quale la salute individuale costituisce, ancora oggi, un rilevante oggetto di tutela dei reati previsti in materia di stupefacenti, sia pure ridimensionato (ma non eliminato del tutto) dall'esito del referendum abrogativo del 1993. Una simile ricostruzione conferma, da un lato, l'irrilevanza dell'uso personale rispetto alle condotte previste dal primo comma dell'art. 73 d.P.R. nr. 309 del 1990 e, quindi, anche della coltivazione di stupefacenti (salva la possibilità di ravvisare, in concreto, l'inoffensività della condotta a norma dell'art. 49 c.p.) e, dall'altro, la necessità di un'interpretazione letterale e rigorosa dell'uso esclusivamente personale, quale elemento capace di escludere la ricorrenza del reato.

In buona sostanza ed in conclusione nel momento in cui il R.F.R. ha accettato di andare a prelevare la sostanza stupefacente anche per l'amico marocchino, che lo ha messo in contatto con lo spacciatore M.A., ai fini di un uso comune, per ciò stesso si è reso responsabile di una detenzione illecita perché destinata, almeno in parte, ad un uso anche di terzi.

Circa la determinazione concreta della pena, valutati i criteri tutti di cui all'art. 133 c.p., concessa la circostanza attenuante del fatto di lieve entità, giustificata dalla scarsa gravità oggettiva del reato posto in essere anche in relazione della quantità non ingente di stupefacente detenuto, dell'uso anche personale ancorché non esclusivo nonché le circostanze attenuanti generiche, giustificate dall'assoluta incesuratezza dell'imputato emergente dal certificato penale in atti, dal positivo comportamento processuale nonché dalla giovane età al momento del fatto, operata la riduzione di pena per il rito, stimasi equa, la pena di mesi 6 di reclusione ed euro 1.500,00 di multa (pena base anni 1 di reclusione ed euro 3.000,00 di multa, ridotta a mesi 8 di reclusione ed euro 2.000,00 per la concessione delle circostanze attenuanti generiche e, nella misura indicata, per il rito), oltre al pagamento delle spese processuali.

Sussistendo tutti i presupposti di legge e dovendosi ritenere che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati, attesa la sua incensuratezza, la non particolare gravità del reato posto in essere e l'assenza di un qualsiasi elemento dal quale poter desumere la sua pericolosità sociale, va concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Va, infine, disposta la confisca e la distruzione della sostanza stupefacente a norma dell'art. 240 cpv. nr. 2 c.p. trattandosi di cosa la cui fabbricazione, detenzione o alienazione costituisce reato.

P.Q.M.

Letti gli artt. 442 ss. 533 e 535 c.p.p.;

dichiara l'imputato colpevole del reato ascrittogli e, concessa la circostanza attenuante del fatto di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5 D.P.R.. nr. 309 del 1990 nonché le circostanze attenuanti generiche, operata la riduzione di pena per il rito, lo condanna alla pena di mesi 6 di reclusione ed euro 1.500,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

Concede all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Dispone la confisca della sostanza stupefacente sotto sequestro .

Rovereto, 15 marzo 2012

Il Cancelliere

Il G.U.P.

- dott. Riccardo Dies -