Astensione collettiva degli avvocati costituisce legittimo impedimento anche per camera di consiglio

Cass., Sez. VI, 24 ottobre 2013 (dep. 17 gennaio 2014), n. 1826, Pres. Lanza, rel. Fidelbo, ric. S.

L'adesione del difensore alla manifestazione di categoria costituisce un diritto di libertà, che non può essere conculcato attraverso la compressione del ruolo professionale dell'interessato nel singolo procedimento (Cass., Sez. VI, 24 ottobre 2013 (dep. 17 gennaio 2014), n. 1826, Pres. Lanza, rel. Fidelbo, ric. S.). 

20 Gennaio 2014
Cass., Sez. VI, 24 ottobre 2013 (dep. 17 gennaio 2014), n. 1826, Pres. Lanza, rel. Fidelbo, ric. S.
Diamo immediata notizia di una decisione che presenta rilevante importanza pratica, e che segna una novità nel quadro della giurisprudenza sulle manifestazioni di categoria degli avvocati, quando si sostanziano in una astensione dalla partecipazione alleudienze.
Come si rileva nel provvedimento, si era fino ad oggi ritenuto che la decisione del difensore di partecipare alla manifestazione, per quanto tempestivamente comunicata al giudice, fosse irrilevante nei casi di procedimenti camerali a partecipazione facoltativa. Il caso di gran lunga più importante era ed è quello del giudizio abbreviato in grado di appello.
Il principio veniva giustificato, in sostanza, in base ad un doppio assunto: l'adesione del difensore ad una manifestazione di categoria, quando corrisponde a determinate caratteristiche, costituirebbe un legittimo impedimento alla comparizione in udienza; il legittimo impedimento, d'altra parte, non sarebbe causa di rinvio dell'udienza nei casi di procedimento camerale a norma dell'art. 127 (e dell'art. 599) cod. proc. pen., ove il difensore è sentitosolo se compare.
Secondo la sentenza qui pubblicata, l'adesione del difensore alla manifestazione di categoria, alla luce della cospicua giurisprudenza costituzionale ed ordinaria che la riguarda, non rileva in quanto legittimo impedimento, ma quale estrinsecazione di un diritto di libertà, che non può essere conculcato attraverso la compressione del ruolo professionale dell'interessato nel singolo procedimento. Questa essendo la ratio del diritto al rinvio (sanzionato da nullità) nel caso di procedimenti a partecipazione necessaria, non si vedrebbe la ragione di distinguere quanto ai procedimenti cameralia partecipazione facoltativa, ove ugualmente il professionista, in mancanza di diritto al rinvio, si troverebbe «costretto» tra l'interesse a svolgere il compito professionale demandatogli e l'esercizio in concreto del diritto di associazione e di manifestazione a tutela degli interessi «di categoria».
In forza del principio affermato, la Corte ha annullato con rinvio una sentenza di rito abbreviato deliberata nonostante la richiesta di differimento ad altra data che un avvocato aveva formulato esprimendo, nei tempi e nei modi prescritti dal Codice di autoregolamentazione della categoria, la propria adesione ad una manifestazione indetta dall'Unione delle camere penali italiane.
Il secondo è relativo alla natura del diritto all'astensione (nonchè ai poteri del Giudice in caso di astensione) ed è una recentissima ordinanza con la quale si rimette la questine alle Sezioni Unite; nell'articolo è possibile anche leggere una nota dell'U.C.P.I. (http://www.penalecontemporaneo.it/area/3-/16-/-/2764-alle_sezioni_unite_astensione_degli_avvocati_dalle_udienze_e_poteri_del_giudice/).

Si era fino ad oggi ritenuto che la decisione del difensore di partecipare alla manifestazione, per quanto tempestivamente comunicata al giudice, fosse irrilevante nei casi di procedimenti camerali a partecipazione facoltativa. Il caso di gran lunga più importante era ed è quello del giudizio abbreviato in grado di appello.

Il principio veniva giustificato, in sostanza, in base ad un doppio assunto: l'adesione del difensore ad una manifestazione di categoria, quando corrisponde a determinate caratteristiche, costituirebbe un legittimo impedimento alla comparizione in udienza; il legittimo impedimento, d'altra parte, non sarebbe causa di rinvio dell'udienza nei casi di procedimento camerale a norma dell'art. 127 (e dell'art. 599) cod. proc. pen., ove il difensore è sentitosolo se compare.

Secondo la sentenza qui pubblicata, l'adesione del difensore alla manifestazione di categoria, alla luce della cospicua giurisprudenza costituzionale ed ordinaria che la riguarda, non rileva in quanto legittimo impedimento, ma quale estrinsecazione di un diritto di libertà, che non può essere conculcato attraverso la compressione del ruolo professionale dell'interessato nel singolo procedimento. Questa essendo la ratio del diritto al rinvio (sanzionato da nullità) nel caso di procedimenti a partecipazione necessaria, non si vedrebbe la ragione di distinguere quanto ai procedimenti cameralia partecipazione facoltativa, ove ugualmente il professionista, in mancanza di diritto al rinvio, si troverebbe «costretto» tra l'interesse a svolgere il compito professionale demandatogli e l'esercizio in concreto del diritto di associazione e di manifestazione a tutela degli interessi «di categoria».

In forza del principio affermato, la Corte ha annullato con rinvio una sentenza di rito abbreviato deliberata nonostante la richiesta di differimento ad altra data che un avvocato aveva formulato esprimendo, nei tempi e nei modi prescritti dal Codice di autoregolamentazione della categoria, la propria adesione ad una manifestazione indetta dall'Unione delle camere penali italiane.

Il secondo è relativo alla natura del diritto all'astensione (nonchè ai poteri del Giudice in caso di astensione) ed è una recentissima ordinanza con la quale si rimette la questine alle Sezioni Unite; nell'articolo è possibile anche leggere una nota dell'U.C.P.I. (http://www.penalecontemporaneo.it/area/3-/16-/-/2764-alle_sezioni_unite_astensione_degli_avvocati_dalle_udienze_e_poteri_del_giudice/).

 

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 24 ottobre 2013 - 17 gennaio 2014, n. 1826

Presidente Lanza – Relatore Fidelbo

Ritenuto in fatto

1. Con la decisione in epigrafe la Corte d'appello di Bologna ha confermato la sentenza del 14 ottobre 2008, emessa a seguito di giudizio abbreviato, condizionato all'assunzione della testimonianza della persona offesa, con cui il G.u.p. del Tribunale di Forlì aveva condannato S.A. ad un anno di reclusione, con pena sospesa e non menzione, in ordine al reato di cui all'art. 572 c.p., per avere maltrattato il coniuge, L.M.L. .
2. L'avvocato Fabrizio Capucci, nell'interesse dell'imputato, ha proposto ricorso per cassazione deducendo due articolati motivi di seguito riassunti.
Con il primo deduce la nullità della sentenza di appello per violazione degli artt. 178 ss., 420 ss. e 97 c.p.p. nonché dell’art. 111 Cost. e art. 6 CEDU, per avere i giudici di secondo grado tenuto l'udienza del 18 novembre 2011, nonostante il difensore di fiducia dell'imputato avesse fatto pervenire, tempestivamente, alla cancelleria della Corte d'appello la dichiarazione di astensione dalle udienze; in particolare, censura il provvedimento con cui i giudici hanno rigettato l'istanza di rinvio dell'udienza escludendo che l'istituto dell'impedimento a comparire possa trovare applicazione nel giudizio camerale di appello, anche in presenza di una dichiarazione di astensione del difensore che aderisca ad una protesta di categoria.
Con il secondo motivo denuncia il vizio di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento delle prove a discarico; in sostanza, lamenta che i giudici di merito non abbiano valutato le dichiarazioni rese dalla persona offesa che ha escluso la natura abituale delle condotte violente poste in essere dall'imputato: la L. avrebbe negato l'esistenza di un clima di continue vessazioni, precisando che si sarebbe trattato di episodi saltuari, dovuti ad un momento di crisi del rapporto coniugale.

Considerato in diritto

3. Il primo motivo è fondato, nei limiti di seguito indicati, e assorbe il secondo.
3.1. La Corte d'appello di Bologna, con ordinanza emessa all'udienza del 18 novembre 2011, ha respinto l'istanza difensiva di rinvio motivata con riferimento alla dichiarata adesione dell'avvocato di fiducia all'astensione dalle attività giudiziarie proclamata dall'Unione delle Camere Penali italiane, sul presupposto che l'istituto dell'impedimento a comparire del difensore non è applicabile nel giudizio abbreviato d'appello.
In questo senso sembra orientata la giurisprudenza, anche quella di legittimità, puntualmente citata nella sentenza impugnata.
Ancor prima della riforma di cui alla L. n. 479 del 1999, le Sezioni unite di questa Corte, proprio in relazione al giudizio abbreviato in grado di appello, hanno ritenuto che il disposto dell'art. 486 comma 5 c.p.p., a norma del quale il giudice provvede alla sospensione o al rinvio del dibattimento in caso di legittimo impedimento del difensore, non si applica ai procedimenti in camera di consiglio che si svolgono nelle forme previste dall'art. 127 c.p.p. (Sez. un., 8 aprile 1998, n. 7551, Cerroni).
Successivamente, la Corte di cassazione ha sempre confermato tale indirizzo ed ha costantemente escluso il rilievo dell'impedimento a comparire del difensore, in presenza della dichiarazione di adesione all'astensione dalle udienze, regolarmente proclamata dagli organismi di categoria, in tutti i casi di partecipazione facoltativa del difensore. Lo ha fatto con riferimento all'art. 127 c.p.p., richiamato dall'art. 409 comma 2 c.p.p. nel procedimento di archiviazione, sostenendo che, una volta notificato l'avviso, deve ritenersi assicurato il contraddittorio sicché del tutto irrilevante diventa l'assenza del difensore causata da legittimo impedimento - anche se derivante da adesione allo sciopero -, essendo questo previsto quale causa di rinvio per il solo dibattimento (Sez. VI, 19 febbraio 2009, n. 14396, Leoni); lo ha sempre ribadito in relazione all'udienza prevista dall'art. 599 c.p.p., in particolare per il giudizio di appello a seguito di abbreviato (Sez. VI, 23 settembre 2004, n. 40542, Di Gregorio; Sez. V, 6 aprile 2006, n. 16555, Verbi; Sez. VI, 24 maggio 2006, n. 23778, Guarino; Sez. VI, 20 febbraio 2007, n. 34462, De Martino; Sez. IV, 14 luglio 2008, n. 33392, Menoni; Sez. V, 16 luglio 2010, n. 36623, Borra), mettendo in rilievo come l'art. 420-ter c.p.p., che nell'udienza preliminare disciplina l'impedimento a comparire sia per l'imputato sia per il difensore, trova applicazione nel giudizio abbreviato di primo grado tramite il richiamo contenuto nell'art. 441 comma 1 c.p.p., ma non anche nel giudizio camerale di appello, previsto dal combinato disposto degli artt. 443 comma 4 e 599 c.p.p., disposizioni che non sono state modificate né dalla riforma sul giudizio abbreviato (legge n. 479 del 1999) né dagli interventi attuativi dei principi del giusto processo (legge n. 63 del 2001). Conseguentemente, si è ritenuto che l'udienza camerale di appello, a seguito di giudizio abbreviato, continui ad essere assoggettata alla regola secondo cui il giudice può disporre il rinvio solo in presenza di un legittimo impedimento dell'imputato che abbia chiesto di essere sentito personalmente ovvero che abbia manifestato la volontà di comparire. Nessun rilievo viene riconosciuto all'impedimento a comparire del difensore.
Si tratta di una ricostruzione che giustifica tale trattamento differenziato tra imputato e difensore, individuando la ratio della disposizione contenuta nell'art. 599 c.p.p. nell'esigenza di assicurare una maggiore speditezza del giudizio abbreviato d'appello in camera di consiglio, in attuazione dei canoni di economia processuale e dell'unità del processo nelle sue varie fasi.
Tuttavia, una tale prospettiva, che appare già opinabile dal punto di vista della ragionevolezza della scelta legislativa, appare sicuramente ingiustificata quando la si applica all'astensione dell'avvocato.
3.2. L'astensione dall'attività giudiziaria degli avvocati e dei procuratori legali non può essere considerata semplicemente un legittimo impedimento partecipativo: è la Corte costituzionale a sostenere che, sebbene l'astensione dall'attività defensionale non possa configurarsi come diritto di sciopero ricompreso sotto la specifica protezione dell'art. 40 Cost., tuttavia si tratta di un diritto di libertà, in quanto manifestazione incisiva della dinamica associativa volta alla tutela di una forma di lavoro autonomo, che va ricondotta nell'ambito dei "diritti di libertà dei singoli e dei gruppi che ispira l'intera prima parte della Costituzione" e che appartiene all'ambito del diritto di associazione (Corte cost., sent. n. 171 del 1996).
Una volta che si ammette che con il riconoscimento di questa forma di "protesta di categoria" si garantisce la libertà di ogni formazione sociale, nella tutela concorrente di altri valori di rango costituzionale, risulta riduttivo equipararla ad una qualsiasi ipotesi di impedimento a comparire, nel senso che con la dichiarazione di astensione dalle udienze il difensore esercita un diritto, che il giudice deve riconoscere, purché il suo esercizio avvenga nel rispetto della legge.
3.3. D'altra parte, la stessa giurisprudenza di legittimità, seppure in relazione ad altri profili, ha ormai riconosciuto che l'astensione del difensore dalle udienze non può essere equiparata ad una qualsiasi forma di impedimento.
Infatti, l'interpretazione consolidata secondo cui, nell'ipotesi di astensione da parte dell'avvocato, non trova applicazione il limite massimo di sessanta giorni di sospensione del corso della prescrizione, in quanto il termine resta sospeso per l'intero periodo di differimento (art. 159 c.p., come modificato dalla legge n. 251 del 2005), trova la sua premessa nel riconoscimento che la richiesta del difensore di rinvio dell'udienza, sebbene sia tutelata dall'ordinamento, non costituisce impedimento in senso tecnico" (tra le tante, Sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 10621, M.; Sez. V, 8 febbraio 2010, n. 18071, Piacentino; Sez. I, 4 febbraio 2009, n. 5956, Tortorella; Sez. I, 17 giugno 2008, n. 25714, Arena; Sez. III, 17 ottobre 2007, n. 4071, Regine; Sez. V, 14 novembre 2007, n. 44924, Marras).
Invero, deve riconoscersi come definitivamente superato l'orientamento interpretativo, formatosi soprattutto negli anni precedenti la riforma di cui alla legge n. 479 del 1999, che tendeva a ricondurre l'astensione nell'ambito del generale istituto del legittimo impedimento. Le decisioni sopra riportate, come anche altre intervenute sulla disciplina in tema di durata dell'effetto sospensivo del termine di prescrizione determinato dal differimento dell'udienza per l'astensione del difensore, affermano la sussistenza di un vero e proprio "diritto al rinvio" quale diretta conseguenza dell'esercizio del diritto costituzionale di libertà di associazione del difensore: si è così sostenuto che la richiesta di rinvio dell'udienza per aderire ad una astensione collettiva "deve essere considerata una richiesta tutelata dall'ordinamento col diritto ad ottenere un differimento, ma non costituisce un impedimento in senso tecnico, visto che non discende da una assoluta impossibilità a partecipare all'attività difensiva", chiarendo che la richiesta di differimento dell'udienza per aderire ad una astensione collettiva si inquadra nella seconda ipotesi prevista dall'art. 159 n. 3 c.p. (Sez. II, 29 ottobre 2008, n. 44391, Palumbo; nello stesso senso, Sez. II, 12 febbraio 2008, n. 20574, Rosano; Sez. I, 17 giugno 2008, n. 25714, Arena; Sez. V, 23 aprile 2008, n. 33335, Inserra; Sez. VI, 10 giugno 2009, n. 27842, Nori; Sez. VI, 13 maggio 2010, n. 26079, G.G.).
Si tratta di una giurisprudenza che negando la riconducibilità dell'astensione al concetto di legittimo impedimento, seppure per affermare che rientri nell'ipotesi disciplinata dall'art. 159 c.p. come semplice richiesta di rinvio a cui non si applica il limite massimo di sessanta giorni di sospensione, sconfessa l'orientamento interpretativo, sopra riportato, che esclude rilevanza all'astensione del difensore nell'udienza camerale sul presupposto che il legittimo impedimento non può operare a favore del difensore.
È evidente la discrasia interpretativa verificatasi: da un lato, vista dalla prospettiva del termine di sospensione della prescrizione, l'astensione viene configurata come un "diritto al rinvio", escludendo espressamente che rientri nell'ambito di un'ipotesi di legittimo impedimento; dall'altro lato, l'irrilevanza dell'astensione nei procedimenti camerali a partecipazione eventuale ex art. 127 c.p.p., compresi quelli di cui all'art. 599 c.p.p., viene giustificata proprio con riferimento alla mancata previsione del legittimo impedimento del difensore.
Invero, se l'astensione dalle udienze non può essere ricondotta all'interno dell'istituto del legittimo impedimento, deve conseguentemente escludersi che la mancata previsione di una ipotesi di legittimo impedimento del difensore possa giustificare la tesi della irrilevanza della manifestazione del diritto di astensione.
Tenuto conto del percorso che, con la sentenza n. 171 del 1996 della Corte costituzionale e poi con la legge n. 83 del 2000, ha portato al riconoscimento dell'astensione come manifestazione di un diritto di libertà derivante direttamente dall'art. 18 Cost., appare corretta l'impostazione che tende a differenziare nettamente l'esercizio di tale diritto dall'istituto del legittimo impedimento, da qualsiasi visuale lo si voglia inquadrare.
Il concetto di impedimento legittimo indica una situazione in cui non vi è alcuna scelta, ma un'oggettiva impossibilità del difensore di partecipare all'udienza; del tutto differente è il caso dell'astensione dell'avvocato dall'udienza, in quanto si tratta dell'esercizio di un diritto di libertà, che è situazione del tutto diversa dal rinvio determinato da un impedimento. Se questo diritto di libertà viene esercitato nel rispetto e nei limiti indicati dalla legge esso costituisce una causa di rinvio del procedimento: in altri termini, la ragione del rinvio trova la sua giustificazione nell'esercizio stesso di un diritto di libertà.
3.4. Nel momento in cui l'astensione dalle udienze non viene più ricondotta all'istituto del legittimo impedimento risulta superato anche il problema, segnalato in alcune decisioni, secondo cui per dare rilievo all'astensione sarebbe comunque necessario sollevare una questione di legittimità costituzionale delle disposizioni che negano la cittadinanza al legittimo impedimento del difensore nei procedimenti camerali, come quelli disciplinati dagli artt. 127 e 599 c.p.p.: peraltro, fino ad ora la giurisprudenza ha sempre affermato la piena razionalità della differenza di disciplina relativa ai procedimenti camerali in questione, con particolare riferimento all'abbreviato d'appello, differenza giustificata dalla peculiarità del giudizio (Sez. V, 6 aprile 2006, n. 16555, Verbi; Sez. IV, 14 luglio 2008, n. 33392, Menoni).
Inoltre, nell'ambito dell'orientamento che esclude che l'astensione possa identificarsi con un'ipotesi di legittimo impedimento, si è messo in rilievo l'irrazionalità di un sistema che riconosca all'astensione del difensore il diritto al rinvio dell'udienza nell'ambito di un procedimento camerale - il riferimento è sempre al giudizio ex art. 443 c.p.p. - in cui il legittimo impedimento del difensore, cioè una situazione di impossibilità oggettiva a partecipare, non riceve alcuna tutela (in questo senso, Sez. VI, 10 giugno 2009, n. 27842, Nori). L'obiezione prova troppo e non tiene conto che si tratta di due situazioni profondamente diversificate, che in quanto tali giustificano pienamente una diversità di trattamento: il legittimo impedimento è direttamente funzionale al diritto di difesa il cui esercizio può essere diversamente modulato in considerazione del rito a cui si riferisce, purché sia in funzione dello scopo del giudizio; l'astensione del difensore è, invece, funzionale all'esercizio di un diritto di libertà costituzionalmente rilevante e collegato, come si è visto, al diritto di associazione di cui all'art. 18 Cost..
È vero che si tratta di un diritto di libertà che non ha la medesima valenza del diritto di sciopero di cui all'art. 40 Cost., tanto da dover essere bilanciato con i diritti fondamentali degli altri soggetti interessati dalla funzione giudiziaria nonché con i principi costituzionali del buon andamento dell'amministrazione della giustizia, ma un tale bilanciamento risulta oggi effettuato a monte dal legislatore.
Proprio per soddisfare le esigenze di bilanciamento tra gli spazi di libertà, di cui può essere espressione l'astensione collettiva dalle udienze, e il buon andamento dell'amministrazione della giustizia, spinto dalla Corte costituzionale, il legislatore è intervenuto con la legge n. 83 del 2000 a regolamentare la materia fino ad allora disciplinata dalla legge n. 146 del 1990 sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi essenziali, imponendo non solo l'obbligo d'un congruo preavviso e di un ragionevole limite temporale dell'astensione, ma prevedendo anche l'adozione di codici di autoregolamentazione, previa verifica di idoneità da parte della apposita Commissione di garanzia. In questo modo l'astensione degli avvocati dalle udienze ha ormai acquisito una piena legittimazione nel nostro ordinamento giuridico quale diritto di libertà, il cui esercizio resta subordinato ad una serie di regole e limiti, che sono stabiliti dalla legge, integrata dai codici di autoregolamentazione che siano valutati conformi alla legge stessa. Una volta che tali regole risultano osservate, il giudice non può che accogliere la richiesta di differimento dell'udienza formulata dal difensore che dichiari di aderire all'astensione collettiva, a condizione che sia stata proclamata a norma di legge.
D'altra parte nell'ordinamento sono presenti altri istituti che risultano in grado di assicurare tutela ai principi e ai diritti che possono essere messi in crisi dagli effetti dell'astensione e dal conseguente diritto al rinvio: si è già visto come il rinvio dell'udienza determini la sospensione della prescrizione per l'intero periodo necessario allo svolgimento degli adempimenti tecnici imprescindibili per garantire il recupero dell'ordinario svolgimento del processo; inoltre, a seguito del rinvio dell'udienza per adesione all'astensione si esclude il diritto del difensore ad avere la notifica del provvedimento di differimento; l'adesione del difensore all'astensione rende operante anche la causa di sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare; lo stesso codice di autoregolamentazione esclude che il diritto all'astensione possa essere esercitato in riferimento ai processi concernenti reati la cui prescrizione maturi durante il periodo di astensione. Ne deriva un sistema in cui i diritti fondamentali dei soggetti destinatari della funzione giudiziaria, espressione dei principi e dei valori costituzionali del buon andamento dell'amministrazione giudiziaria, risultano fortemente tutelati nella comparazione con la libertà di astensione.
Il diritto al rinvio dell'udienza per astensione del difensore trova la sua regolamentazione nella legge sullo sciopero nei servizi essenziali come modificata dalla legge n. 83 del 2000 e nelle fonti regolatrici di natura sub­legislativa cui si è fatto riferimento, sicché a questa complessa disciplina occorre fare riferimento per verificare la correttezza delle modalità di esercizio del diritto dell'avvocato, disciplina che garantisce tale diritto di libertà.
3.5. Recentemente, le Sezioni unite di questa Corte hanno attribuito valore di normativa secondaria al codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, adottato dagli organismi di categoria il 4 aprile 2007 e valutato idoneo dalla Commissione di garanzia con Delib. 13 dicembre 2007, in attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (Sez. un., ord. 30 maggio 2013, n. 26711, Ucciero; in senso analogo v., Sez. VI, 12 luglio 2013, n. 39248, Cartia). Nel caso preso in esame le Sezioni unite hanno stabilito che nei procedimenti relativi a misure cautelari personali non è consentita l'astensione dalle udienze da parte del difensore che aderisca ad una protesta di categoria, facendo leva proprio sul codice di autoregolamentazione, che all'art. 4 esclude che l'astensione possa riguardare le udienze penali "afferenti misure cautelari" (sulla stessa linea si colloca Sez. VI, 12 luglio 2013, n. 39871, Notarianni, che ha escluso la possibilità di astensione del difensore nei procedimenti aventi ad oggetto misure cautelari reali, anche in questo caso facendo applicazione delle disposizioni contenute nel codice di autoregolamentazione).
Ne consegue che oggi il giudice, nella valutazione del corretto esercizio dell'astensione, deve necessariamente prendere anche in considerazione le disposizioni contenute in tale codice. L'art. 3 disciplina gli effetti dell'astensione, individuando le modalità attraverso cui deve essere esercitata: l'astensione deve essere dichiarata all'inizio dell'udienza (o dell'atto di indagine) dal difensore personalmente o tramite un sostituto oppure può essere comunicata con atto scritto trasmesso o depositato nella cancelleria del giudice (oltreché agli altri avvocati) almeno due giorni prima della data stabilita. Solo in presenza di tali modalità all'astensione, regolarmente proclamata, potrà conseguire il diritto al rinvio dell'udienza (il codice di autoregolamentazione contiene ancora il riferimento al legittimo impedimento del difensore, riferimento da ritenere, per le ragioni sopra esposte, improprio).
Ma ciò che rileva ai fini della questione in oggetto è che lo stesso art. 3 non opera alcuna distinzione tra udienze a cui il difensore deve partecipare in via obbligatoria ovvero facoltativa: infatti, la disposizione si riferisce "all'udienza o all'atto di indagine preliminare o a qualsiasi altro atto o adempimento per il quale sia prevista la sua presenza, ancorché non obbligatoria" (peraltro anche nella regolamentazione provvisoria dell'astensione collettiva degli avvocati, che venne adottata dalla Commissione di garanzia con Delib. 4 luglio 2002, e oggi superata dal citato codice di autoregolamentazione, era contemplato il caso dell'astensione nelle udienze a partecipazione facoltativa, infatti l'art. 3 comma 4 prevedeva che "per le udienze che possono celebrarsi anche in assenza del difensore, questi, qualora intenda astenersi, deve darne comunicazione all'autorità procedente").
Di conseguenza, il fatto che in alcuni procedimenti non sia prevista come obbligatoria la presenza del difensore non può condizionare l'esercizio del diritto di libertà, purché il difensore comunichi tempestivamente la volontà di astensione, manifestando in questo modo anche la sua volontà di essere presente all'udienza a partecipazione facoltativa.
3.6. In conclusione, deve ritenersi del tutto inattuale quella giurisprudenza, alla quale si è ispirata la stessa sentenza impugnata, che, come si è visto, nega ogni rilievo all'astensione dei difensori manifestata nei giudizi d'appello relativi a procedimenti definiti in primo grado con rito abbreviato - ma lo stesso vale per tutti i procedimenti a partecipazione eventuale aventi le medesime caratteristiche, come ad esempio i giudizi di opposizione avverso le richieste di archiviazione (artt. 409 e 410 c.p.p.) - giustificando la prosecuzione del procedimento in assenza del difensore sul duplice presupposto che si tratta di partecipazione non necessaria e che non è contemplata una causa di legittimo impedimento. In questo modo, il diritto di astensione subisce un pesante condizionamento trovandosi il difensore a scegliere di rinunciare al proprio diritto costituzionale di libertà per non lasciare privo di difesa tecnica il proprio assistito.
Il corretto esercizio del diritto di libertà di astensione ha come effetto il differimento delle attività giudiziarie fissate in coincidenza con il periodo della "protesta", ad eccezione delle attività espressamente escluse dalla legge e dal codice di autoregolamentazione ovvero di quelle indicate dalla Commissione di garanzia in funzione di salvaguardia delle esigenze di contemperamento dei diritti in gioco.
4. Nella specie, risulta dagli atti, e non è oggetto di contestazione, che il difensore di fiducia dell'imputato, con istanza fatta pervenire tempestivamente, ha chiesto il rinvio dell'udienza dichiarando di aderire all'astensione dalle attività giudiziarie proclamata dall'Unione delle Camere Penali italiane, istanza che la Corte d'appello ha respinto per le ragioni sopra riportate, proseguendo l'udienza senza la presenza del difensore e dello stesso imputato, pronunciando alla fine sentenza di conferma della condanna dell'imputato.
In questo caso, nonostante il difensore abbia correttamente esercitato la libertà di astensione, attuata in ottemperanza di tutte le prescrizioni formali e sostanziali indicate dalle pluralità delle fonti regolatrici, il giudice non ha riconosciuto il diritto al rinvio, determinando la nullità della sentenza ai sensi degli artt. 178 lett. c) e 180 c.p.p.. In questo caso la nullità ha riguardato la mancata assistenza dell'imputato, nullità da considerare a regime intermedio e non assoluta ex art. 179 comma 1 c.p.p. dal momento che l'assistenza del difensore non era obbligatoria.
Ne consegue l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna.

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna.