Ispezione al carcere di Trento

Comunicato Stampa sulla visita a sorpresa al Carcere di Spini di Gardolo (art. 67 Ordinamento Penitenziario)

Su iniziativa e con la partecipazione della Camera Penale di Trento M. Pompermaier oggi l’On. Florian Kronbichler (SEL), già redattore di una interrogazione a risposta scritta al Ministero della Giustizia sul suicidio di luglio, ha effettuato una ispezione parlamentare a sorpresa del Carcere di Spini di Gardolo per verificare le condizioni di vita, il trattamento ed il rispetto dei diritti della popolazione detenuta.

Abbiamo scelto casualmente ed incontrato i detenuti di 4 sezioni (3 maschili ed 1 femminile), raccogliendo in questionari anonimi i giudizi di oltre un quarto della popolazione detenuta (60 uomini e 8 donne), che serviranno da base per l’elaborazione di un dossier che sottoporremo al Parlamento italiano, al Ministero della giustizia, ai vertici politici provinciali, al Provveditorato ed ovviamente alla magistratura locale.

Con la massima collaborazione della polizia penitenziaria, che ha assecondato ogni richiesta formulata nel corso della visita ispettiva durata circa 4 ore, si segnala che le criticità evidenziate praticamente all’unanimità dei detenuti consistono nel rapporto del tutto insufficiente con gli educatori (ed in misura minore con gli assistenti sociali) nonchè con la locale magistratura di sorveglianza: le lamentale riguardano sia la poca frequenza dei contatti che la qualità insoddisfacente dei colloqui (tempo ed attenzione dedicati).

Lavoro e attività formativa largamente insufficienti con mesi di ozio forzato, assenza di assistenza medica o infermieristica di notte, limitazione ai generi alimentari ammessi e costi eccessivi di quelli esistenti, attività e attrezzatura sportiva insufficiente sono altre criticità emerse.

Il carcere di Trento, presentato come struttura modello, è in realtà un carcere che oltre ai noti suicidi ha visto 22 “eventi critici”, cioè tentati suicidi, ufficialmente rilevati negli ultimi tre anni (senza contare i gesti dimostrativi o non comunicati). Un carcere dal quale praticamente tutti chiedono il trasferimento verso altri istituti, anche a costo di condizioni materiali peggiori (sovraffollamento compreso, che a Trento invece non esiste).

La Camera Penale di Trento, riservandosi una valutazione approfondita di quanto emerso, chiede che:

  • venga immediatamente nominato un garante dei diritti del detenuto
  • venga stabilmente insediato un direttore, dato che da oltre due anni si avvicendano direttori temporanei prestati da altri istituti penitenziari che vengono a Trento solo una o due volte in settimana
  • vi sia un confronto urgente con educatori e magistratura di sorveglianza in merito alle criticità emerse.

E’ inoltre indispensabile ed urgente che la società civile si attivi immediatamente, anche per sopperire alla mancanza di mezzi della amministrazione, fornendo ad esempio disponibilità a regalare libri per la biblioteca, abbonamenti a riviste e quotidiani, attrezzatura per la palestra e per le finalità ludiche, per garantire l ‘attuazione concreta della finalita’ rieducativa e risocializzante della pena.

Come è stato scritto infatti, a far data almeno dalla sentenza n. 313/1990 della Corte Costituzionale (poi reiteratamente confermata) è in atto una valorizzazione in massimo grado della finalità di risocializzazione, che – in quanto testualmente prevista -non può mai essere integralmente sacrificata a vantaggio di altre e diverse funzioni astrattamente perseguibili.

Oggi – insegna sempre la Corte costituzionale -tutti i soggetti che partecipano al momento punitivo statale sono sottoposti a questo medesimo scopo: il legislatore (nella fase dell’astratta previsione normativa), il giudice di cognizione (nella fase della commisurazione della pena), il giudice di sorveglianza al pari della polizia penitenziaria (nella fase della sua esecuzione), finanche il Presidente della Repubblica (nell’esercizio del suo potere di fare grazia e commutare le pene).

Unitamente al «senso di umanità», la finalità rieducativa traccia dunque – costituzionale cui tutte le pene «devono tendere». Dove l’accento cade ora sul «devono», mentre il «tendere» -lungi dal rappresentare una mera formula ottativa -è da intendersi quale limite all’ordinamento penitenziario, chiamato a garantire il processo rieducativo ma non a imporlo, restando libero il detenuto di aderire o no al trattamento.

per la Camera Penale di Trento M. Pompermaier

Nicola Canestrini

(vai alla rassegna stampa sul profilo Facebook della Camera Penale di Trentohttps://www.facebook.com/media/set/?set=a.718370408228076.1073741826.268400409891747&type=1)

Interrogazione a risposta scritta sul suicidio in carcere a Trento

 

Interrogazione a risposta scritta 4-05726

presentato da KRONBICHLER Florian

testo di Mercoledì 30 luglio 2014, seduta n. 275

 

KRONBICHLER. — Al Ministro della giustizia . — Per sapere –

premesso che:

un giovane detenuto si è impiccato il 24 luglio 2014 nel carcere di Trento. L'uomo si chiamava Riccardo: soffriva di problemi di tossicodipendenza e pare gli avessero rigettato recentemente la domanda di inserimento in comunità terapeutica;

da informazioni raccolte dal sottoscritto e dai suoi collaboratori tra i suoi compagni di sezione e dagli operatori emerge che si trattava di una persona in grosse difficoltà/disagio psichico;

qualche tempo prima aveva avuto un colloquio per un lavoro dentro il carcere, che non era andato bene, perché non sarebbe stato in grado di svolgerlo, in quanto troppo sofferente e bisognoso di un intervento di cura;

non si trattava del primo tentativo di suicidio: in precedenza Riccardo aveva già tentato di farsi del male, ingoiando delle batterie, ma era stato salvato in tempo ed era stato ricoverato all'ospedale. Stavolta Riccardo si è impiccato nella doccia con il lenzuolo durante l'ora d'aria. Lo hanno ritrovato i compagni al rientro in cella;

i segnali di quanto poteva accadere c'erano tutti. Per il giovane suicida era stato chiesto l'affidamento terapeutico in comunità, ma il magistrato di sorveglianza lo aveva negato;

nel carcere di Trento l'attività educativa e di supporto psicologico è carente; ci sono persone che attendono settimane prima di poter parlare con l'educatore e quasi mai ricevono aiuto per un reale percorso educativo e di supporto;

gli agenti non sono – per la maggior parte – formati e consapevoli della loro responsabilità. Secondo il racconto che l'interrogante ha raccolto, l'agente di turno, dopo essere stato chiamato dalle urla dei compagni, è entrato nella cella, ha visto la scena, ha proferito un'imprecazione ed è uscito terrorizzato. Il giovane sarebbe stato tirato giù dal suo cappio dalla dottoressa che era casualmente nella sezione e da due persone detenute;

non si vogliono evidentemente attribuire responsabilità dirette agli operatori, ma lo Stato è responsabile della morte di questo giovane, in quanto non destina al sistema carcerario italiano — condannato a livello internazionale perché non rispetta alcuno standard minimo — le risorse per garantire i servizi e la formazione per gli operatori e ambienti adeguati alla vita in detenzione;

il trattamento di persone tossicodipendenti nelle strutture carcerarie italiane rappresenta un'emergenza nell'emergenza. La loro reclusione in condizioni di scarsa igiene, senza programmi mirati di sostegno e di recupero rappresenta un tradimento delle finalità della pena e una violazione dei principi di solidarietà e di dignità;

il tribunale di sorveglianza di Trento è considerato (da detenuti, avvocati, operatori dell'UEPE) uno dei più restrittivi d'Italia sia nel concedere misure alternative, sia nel concedere permessi, sia nel concedere i giorni di liberazione anticipata previsti dall'ordinamento. Difficile dire quali ragioni giustifichino questa condotta, che — a parere dello scrivente – è grave in casi come quello del giovane che si è suicidato, ma è altrettanto insensata in altri casi di nostra conoscenza –:

se per il giovane suicida in carcere a Trento fosse stato attivato un percorso terapeutico idoneo per la sua situazione; se chi si occupava di lui sotto il profilo del controllo abbia messo in atto le precauzioni necessarie perché non compiesse questo atto; se sia noto quali ragioni, data la situazione soggettiva del detenuto, hanno portato la magistratura di sorveglianza a non concedere la misura richiesta. (4-05726)

 

Circolare 7 novembre 2013 - Nuovo testo unico delle disposizioni dipartimentali in materia di visite agli istituti penitenziari ex art 67 o.p.

Ministero della Giustizia DIPARTIMENTO DELL'AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA UFFICIO DEL CAPO DEL DIPARTIMENTO

CIRCOLARE N.3651/6101 GDAP-0381054-2013 PU-GDAP-1aOO-08/11/2013-0381054-2013

 

Ai signori Provveditori Regionali LORO SEDI

e,p.c. Ai signori Vice Capi del Dipartimento Ai signori Direttori Generali Ai signori Direttori degli Uffici di Staff dell'Ufficio del Capo del Dipartimento SEDE

 

Oggetto: "Nuovo testo unico delle disposizioni dipartimentali in materia di visite agli istituti penitenziari ex art 67 O.P."

La presente circolare persegue un duplice obiettivo:

da un lato, raccogliere organicamente, al fine di rendere più semplice e sicura la consultazione, le disposizioni finora impartite circa le modalità di svolgimento delle visite degli istituti penitenziari previste dall1 art 67 O.P., evitando, fra l'altro, talune possibili incertezze in ordine alle modalità di intervento dell'Autorità che sovrintende all'Istituto in cui la visita avviene qualora il comportamento tenuto dal visitatore non rispetti le previsioni normative (esigenza, rafforzata da alcuni episodi che, come già evidenziato nella circolare n. 3640-6090 del 10 agosto 2012, hanno mostrato alcune esitazioni nell'azione dell'Autorità preposta a fronte del comportamento di Parlamentari visitatori);

dall'altro, apportare a tali disposizioni gli aggiornamenti suggeriti dall'esperienza applicativa maturata negli ultimi anni o resi necessari dal sopravvenire di modifiche normative.

§ 1 - Ratio dell'istituto

Occorre prendere le mosse da quella che è la disposizione cardine inerente ai rapporti tra comunità reclusa e società esterna, disposizione che va individuata nell'art. 17 della legge penitenziaria. Le visite di cui all'art. 67 costituiscono una delle molteplici espressioni della correlazione tra comunità intramuraria e società esterna, correlazione che la legge del 1975 non soltanto non vuole impedire, ma anzi intende variamente promuovere. E, dunque, le visite che una serie di persone qualificate vuoi per cariche istituzionali, vuoi per incarichi di natura giurisdizionale, religiosa o politica, sono abilitate ad effettuare senza aver necessità di fornirsi di autorizzazione, rientrano nella prospettiva generale della "partecipazione" della società esterna all'azione rieducativa, prospettiva che, come si è detto, la legge penitenziaria fortemente favorisce.

Proprio perché anche le visite dei soggetti di cui all'art. 67 si iscrivono nella suddetta prospettiva generale appare evidente quale sia la finalità delle medesime: esse sono funzionali a quella coassunzione di responsabilità della società rispetto al carcere, ed in particolare sia con riguardo alla tutela del principio dell'umanità dello stato di detenzione (art. 27, comma terzo, Costituzione) a cui si correla il trattamento di sostegno degli imputati (art. 1, comma 5, legge n. 354/75), sia rispetto alla finalità essenziale della pena detentiva, consistente nella "tendenza" alla rieducazione, voluta dalla norma costituzionale (stesso art. 27, comma terzo, Costituzione ed art. 1, comma 6, legge n. 354/75).

§ 2 - Autorità legittimate alla visita

I soggetti istituzionali che godono della prerogativa di visitare senza autorizzazione gli istituti penitenziari sono elencati, in maniera tassativa, dall'art 67, comma 1, O.P. E' fatto, pertanto, divieto ai direttori degli istituti penitenziari di applicare in maniera impropriamente estensiva tale disposizione consentendo la visita di Autorità o soggetti, pubblici o privati, ivi non espressamente indicati.

La visita da parte di soggetti non contemplati nel catalogo di cui all'art 67 O.P. può essere autorizzata da questo Dipartimento, ai sensi dell'art 117, comma 2, del DPR n. 230 del 2000 (Regolamento penitenziario).

§ 3 - Garanti dei diritti dei detenuti

Si ricorda, inoltre, che l'elenco delle Autorità di cui all'art 67 O.P. è stato modificato dalla legge 27 febbraio 2009, n.14, che vi ha aggiunto i "garanti dei diritti dei detenuti comunque denominati ".

Per Garante si intende un "organo pubblico istituito con atto normativo". Tali atti normativi rilevano esclusivamente se emanati dallo Stato o da Enti pubblici territoriali (Comuni, Province e Regioni). Sono pertanto da escludere figure che, pur fregiandosi di analoga qualifica, promanino da associazioni o gruppi di natura privata. A riguardo, si raccomanda di acquisire, una tantum, il provvedimento di nomina da parte dell'Autorità che ne ha competenza.

Ai sensi del predetto art. 67 O.P., così come modificato, il Garante può accedere all'istituto penitenziario senza altra autorizzazione ed interloquire con i detenuti.

Tali interlocuzioni non sostanziano i colloqui in senso tecnico previsti dall'art. 18 O.P.; pertanto, da un lato, la loro effettuazione soggiace alle regole ed ai limiti di cui al §-6, dall'altro, non devono essere computate ai fini del raggiungimento dei limiti numerici previsti dall'art. 37, comma 8, del D.P.R. n. 230 del 2000.

§ 4 - Parlamentari Europei

II decreto-legge 22 dicembre 2011, Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri, convertito, con modificazioni, in legge 17 febbraio 2012, n. 9, ha inserito nel catalogo 67 dell'O.P. anche "i membri del Parlamento Europeo". Tale ampia definizione è comprensiva di tutti i componenti di tale organo, senza alcuna limitazione su base nazionale. Dunque, tutti i Parlamentari europei, qualunque sia il Paese in cui sono stati eletti, godono della prerogativa di visitare senza autorizzazione gli istituti penitenziari italiani.

Al fine di rendere edotti i Parlamentari europei che non conoscono la lingua italiana delle regole in materia di visite agli istituti penitenziari, all'atto dell'ingresso nella struttura detentiva, viene consegnato loro un estratto della presente circolare nonché copia degli articoli 67, commi 1 e 2, dell'O.P. e 117, comma 1, Reg., tradotti in lingua europea conosciuta dal visitatore.

§ 5 - Accompagnatori per ragioni di ufficio

II comma 2 dell'art. 67 O.P. prevede che non occorra alcuna autorizzazione per accedere all'istituto nemmeno per "coloro che accompagnano... per ragioni del loro ufficio" le persone di cui al comma 1 dell'articolo.

Si precisa che la ragione d'ufficio deve sussistere non solo per i soggetti cui la facoltà in questione è attribuita in via primaria, ma anche per le persone degli accompagnatori. In sostanza la disposizione di cui all'art. 67, comma 2, O.P. deve essere interpretata nel senso che è richiesta un'effettiva relazione tra le specifiche attribuzioni funzionali proprie dell'accompagnatore e le ragioni che consentono il libero accesso agli istituti penitenziari del soggetto cui tale facoltà è accordata in via primaria (ad es. collaboratore di cancelleria in funzione di accompagnatore del magistrato che accede all'istituto).

Con particolare riferimento ai Parlamentari ed ai Consiglieri regionali "le ragioni di ufficio" di cui parla la disposizione in discorso debbono ritenersi integrate non in presenza di qualunque tipo di episodica collaborazione, ma solo allorché si adduce l'esistenza di un rapporto di collaborazione professionale stabile e continuativo, ancorché non avente fonte in veri e propri provvedimenti formali di nomina producibili dall'interessato.

L'accesso ex art. 67 O.P. dei collaboratori del Garante regionale é autorizzato se in accompagnamento e dunque in presenza di tale Autorità in ragione del proprio ufficio. L'interpretazione della normativa non lascia spazio ad accessi autonomi dei collaboratori, neppure su delega del Garante, tantomeno di colloqui diretti con i detenuti. Le prerogative poste in capo al Garante, infatti, al pari di quelle delle altre Autorità previste dall'art. 67 O.P., devono ritenersi non delegabili. Sarà cura delle Direzioni degli Istituti acquisire l'elenco dei collaboratori dell'Ufficio del Garante Comunale (eventualmente istituito), mentre i Provveditorati regionali provvederanno ad analoga richiesta al Garante Regionale (eventualmente istituito), trasmettendone copia alle articolazioni periferiche. Si raccomanda, in ogni caso, di provvedere di anno in anno all'aggiornamento di tale richiesta. Una copia degli elenchi summenzionati, a cura dell'articolazione competente, sarà trasmessa annualmente alla Direzione generale dei detenuti e del trattamento.

Al fine di permettere concretamente ai competenti organi della Amministrazione di svolgere le proprie funzioni di controllo, prima che la visita abbia inizio, devono essere raccolte le attestazioni scritte con le quali gli interessati precisino, sotto la propria responsabilità, quale sia il rapporto intercorrente con l'accompagnatore. A quest'ultimo, inoltre, deve essere richiesto di dichiarare per iscritto di non svolgere nell'occasione dell'accesso all'istituto attività giornalistica. Per esigenze di uniformità della prassi operativa, si allega fac simile di una modulistica disponendone l'adozione in tutti gli istituti penitenziari. Tale modulistica dovrà essere debitamente compilata in occasione di ogni visita.

Ove non venga fornita una delle dichiarazioni sopra indicate, oppure da queste emerga l'insussistenza di un rapporto quale indicato nel presente paragrafo (lettere a), b) e e), dovrà essere negato l'accesso all'istituto dell'accompagnatore, fornendo al medesimo, con la massima cortesia, le oggettive motivazioni.

§ 6 - Contenuto della visita e contatti con la popolazione detenuta

Le visite sono dirette a verificare le condizioni di vita dei detenuti e degli internati.

Le Autorità indicate nel comma 1 dell'art. 67 O.P. possono visitare ogni ambiente dell'istituto, compresi quelli in cui si trovano i detenuti.

Inoltre, dette Autorità possono rivolgere la parola ai detenuti e agli internati al fine di rendersi conto in maniera più completa delle condizioni di vita degli stessi. Tali dialoghi, però, non possono travalicare in veri e propri colloqui e/o interviste, specialmente se vertenti sui contenuti espressamente vietati dall'art 117, comma 1, secondo periodo, del D.P.R. n. 230 del 2000.

In particolare, per le ragioni illustrate nel § 1, il contenuto dell'eventuale interlocuzione che il visitatore qualificato intenda effettuare con il detenuto non potrà mai fare riferimento alle vicende processuali del medesimo, vicende che trovano istituzionalmente altre sedi, altre autorità, altre garanzie dove e attraverso le quali essere affrontate. In altri termini, vale anche e si direbbe "a fortiori " per i visitatori qualificati di cui all'art. 67 della legge la indicazione relativa ai contenuti dell'eventuale interlocuzione desunta dall'art. 117 del regolamento. In definitiva, la conversazione deve vertere sulle condizioni di vita del detenuto, sulla conformità del trattamento ad umanità, sul rispetto della dignità della persona, senza alcun riferimento al processo o ai processi in corso.

Né questa è certamente la sola limitazione. Altre ovvie limitazioni vanno desunte dal sistema normativo, il quale riserva in via esclusiva all'Autorità giudiziaria o alla Polizia giudiziaria, salvo quanto previsto dal codice di rito per le investigazioni difensive consentite a determinate condizioni al difensore dell'indagato (Titolo VI-bis del Libro V del codice di procedura penale, artt. 391-bis e seguenti), i poteri di indagine e la assunzione di dichiarazioni o i colloqui finalizzati ad attività investigative.

Qualora la interlocuzione del visitatore qualificato violi le previsioni normative, per il fatto di riferirsi od estendersi ad argomenti diversi da quelli consentiti, come sopra indicato, l'Autorità penitenziaria che lo accompagna (Direttore dell'Istituto o suo delegato) dovrà, dopo un primo richiamo finalizzato a rammentare detti limiti normativi, prontamente intervenire, con cortesia pari alla fermezza, per interrompere immediatamente il colloquio stesso: e ciò, ove la irragionevole persistenza dell'interlocutore nel suo comportamento illegittimo non consenta altra modalità di intervento, mediante il pronto allontanamento del detenuto che partecipi alle interlocuzioni non consentite, in modo da impedire che la violazione possa condurre a pregiudizi maggiori. Resta salvo il dovere di segnalazione all'Autorità giudiziaria, ove si ravvisino estremi di reato, oltre alle consuete segnalazioni al Dipartimento.

In ogni caso, il dialogo tra l'Autorità in visita e il ristretto deve svolgersi in lingua italiana, in maniera da essere comprensibile al direttore dell'istituto, o al suo delegato, presente durante la visita. Pertanto, anche nel caso in cui il visitatore perseveri nell'uso di una lingua o un dialetto non immediatamente intelligibili, l'Autorità penitenziaria preposta darà corso alla interruzione della interlocuzione. Ove il visitatore manifesti la volontà di comunicare con il detenuto che non conosca la lingua italiana può utilizzare la lingua straniera purché il colloquio avvenga alla presenza di un interprete che sia stato scelto dal visitatore stesso e dimostri di essere iscritto in un albo professionale. In tali ipotesi i costi per la retribuzione dell'attività professionale non possono essere assunti dall' Amministrazione Penitenziaria.

Tutte le indicazioni che precedono valgono nei confronti di qualunque detenuto. E' peraltro doveroso sottolineare che un'attenzione affatto peculiare va riservata ai detenuti sottoposti al regime di cui all'art. 41-bis della legge penitenziaria. E' noto che detto regime restrittivo ha come finalità essenziale quella di ostacolare i rapporti impropri del detenuto con le organizzazioni criminali esterne ed è altrettanto noto che i detenuti sottoposti al regime speciale sovente si avvalgono di sofisticati sistemi, anche indiretti e talora criptici, per far pervenire propri messaggi ali'esterno. Occorre dunque che il rispetto delle disposizioni sopra richiamate sia particolarmente rigoroso quando la interlocuzione dei visitatori di cui all'art. 67 si rivolga a detenuti sottoposti all'art. 41-bis.

§ 7 - Identificazione e controlli

Tutte le persone che chiedono di accedere all'istituto devono essere compiutamente identificate.

Tutte le persone che accedono agli istituti penitenziari debbono essere sottoposte a controlli volti ad impedire che, anche inconsapevolmente, possano introdurre nell'istituto (ed in specie e sezioni detentive) oggetti non consentiti.

Visto il ruolo istituzionale rivestito dai soggetti compresi nell' elenco di cui all'art. 67, comma 1, O.P. si ritiene che nella generalità delle ipotesi sia sufficiente il solo controllo mediante il rilevatore dei metalli; è rimessa alla prudente valutazione del direttore dell'istituto la scelta, ove la particolarità del caso lo imponga, di ricorrere anche al controllo manuale.

Non è, comunque, consentito alle Autorità in discorso di accedere alle sezioni detentive con borse, sacchi, borselli o altri oggetti idonei al trasporto di cose.

Si raccomandano la massima cortesia e professionalità nell'espletamento delle operazioni descritte al presente paragrafo.

§ 8 - Comunicazione al Dipartimento

Di ogni ingresso in istituto da parte delle Autorità legittimate deve essere data comunicazione all'Ufficio dell'Organizzazione e delle Relazioni del Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (e, per conoscenza, alla Direzione generale dei detenuti e del trattamento, al Provveditorato regionale ed al competente Magistrato di sorveglianza), subito dopo la conclusione della visita, con le annotazioni di prassi e gli eventuali commenti.

§ 9 - Disposizioni finali

Salvo che non sia contrariamente disposto nei precedenti paragrafi, tutte le precedenti disposizioni impartite sull'oggetto sono revocate e sostituite dalla presente circolare.

In particolare sono revocate:

lettera circolare del 10 agosto 2012, n. 3640-6090, prot. GDAP-0296813, Visite in istituto ex art. 67, comma primo, lettera b), legge n. 354/75;

lettera circolare del 30 dicembre 2009, n. 3624-6074, prot. GDAP-0481177, Testo unico delle disposizioni dipartimentali in materia di visite agli istituti penitenziari ex art 67 O.P.;

lettera circolare 19 agosto 2004, Cod. id. 001672, Visite e accesso degli Istituti Penitenziari;

lettera circolare 22 agosto 2003 , GDAP-0337063, Visite in istituto ex art 670.P. Possibilità di accesso degli accompagnatori (art 67 O.P., 2° comma);

lettera circolare 24 aprile 1997, prot n. 139656/5-9, Visita agi istituti penitenziari da parte dei parlamentari europei; circolare 28 settembre 1993, n. 3372/5822, Art 18 e art 67 Ordinamento Penitenziario linee direttive;

lettera circolare 4 febbraio 1992, prot 459796/2-3, Applicazione dell'art. 67 ordinamento penitenziario;

circolare 5 dicembre 1983 n.3003/5453; Trattamento penitenziario, ordine e disciplina negli istituti di pena, limitatamente al n. 1 pagg. 4 e 5;

circolare 14 novembre 1981, n. 2813/5263, Accompagnatori dei visitatori degli istituti penitenziari previsti dal primo comma dell'art. 67 dell'ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354);

circolare 13 febbraio 1978, n. 2498/4951 "Visite agli istituti penitenziari da parte dei membri del parlamento e dei consiglieri regionali".

Si assicuri la diffusione della presente agli istituti penitenziari della Repubblica.

IL CAPO DEL DIPARTIMENTO Giovanni Tamburino

Roma, 7 novembre 2013

Allegati

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Pubblicato il 06/09/2014